La parola magica per descrivere questo processo sarebbe “equilibrio”.
O forse, al posto di equilibrio, andrebbero meglio ambivalenza,
oscillazione, ambiguità. Una musica animata da un costante
spirito di ricerca, che si muove fuori dalle regole dell’armonia
e del tempo metronomico e che è al tempo stesso profondamente
radicata nella tonalità e nel blues. Una musica che
si definisce, e in effetti è, musica liberamente improvvisata
e si propone un totale ribaltamento della scrittura jazzistica
tradizionale.
Una musica del genere non regge su un equilibrio stabile,
consolidato; è sfuggente, fragile, precaria, costantemente
altrove. Non ha nulla di codificato, di prevedibile, e non
può fare nemmeno dell’assenza di codice o di
direzione la sua bandiera. Nei tratti di free vengono evocati
elementi della tradizione, e là dove sembra immergersi
nel passato e nella tradizione questi vengono immediatamente
contraddetti da elementi ad essi estranei.
Il carattere contradditorio del materiale musicale,
il suo porsi al di là del codice e il suo non poter
esistere senza esso, il suo carattere di “trasgressione”
guidata vengono proposti come unica alternativa a una concezione
“dogmatica” della musica, secondo cui essa si
muove o all’interno di un codice o nella sua assenza.
Ma non esiste, se non nei conservatori e nelle accademie puiù
sclerotizzate, o, viceversa, nel balbettio degli incapaci,
una musica irrigidita in un sistema o totalmente libera da
esso. La storia della musica è la storia della ribellione
alle regole nel loro rispetto, del loro sovvertimento dall’interno.
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